E’ capitato a tutti di occuparsi di un parente anziano, anche solo per un breve periodo. Ma si può chiedere un compenso? Ecco cosa è previsto in questi casi.
Essere meno autosufficienti con il trascorrere degli anni può essere più che naturale, anche se a volte può accadere in modo graduale, in altre in maniera improvvisa come conseguenza di un malore piuttosto grave. In entrambi i casi quando un parente anziano va incontro a questa situazione diventa inevitabile riorganizzare la propria quotidianità e cercare di aiutarlo, specialmente se prima di questo problema viveva da solo.
La soluzione migliore in questi casi può essere l’assunzione di una badante, figura che non è però così semplice da trovare visto che è necessario si instauri un rapporto di fiducia tra le parti e si potrebbe non avere abbastanza tempo per farlo. Non solo, queste lavoratrici, possono essere costose e non essere alla portata di tutti, specialmente in un periodo difficile sul piano economico come quello che stiamo vivendo ora.
Difficilmente ci si sottrae quando si presenta la necessità di assistere un parente anziano, anche se questo può diventare indispensabile sette giorni su sette. Questo vale a maggior ragione se si tratta di un genitore, ben sapendo quanti sforzi possa avere fatto, anche sul piano economico, quando noi ne avevamo bisogno finché non siamo diventati indipendenti.
Rendersi disponibili può comportare sacrifici, come accade a chi è costretto a rinunciare almeno in parte al proprio impiego. Non può quindi che essere naturale chiedersi se un “lavoro” simile comporti un compenso o se, in virtù del legame familiare, tutto debba avvenire gratuitamente.
A eliminare ogni dubbio a riguardo ci ha pensato la Cassazione, con una sentenza destinata quindi a fare giurisprudenza. Si sottolinea come prestazioni simili, in virtù del vincolo familiare esistente, siano da considerare a titolo gratuito. Sulla base di quanto stabilito dagli Ermellini, è ritenuto più che naturale che un nipote o un figlio si occupino, indipendentemente dal numero di ore, di un nonno/a o di un genitore. Il legame affettivo dovrebbe essere il motore principale che può spingere a mettersi al servizio di qualcuno a cui si è legati se ne ha bisogno.
Almeno apparentemente quindi occuparsi di un parente anziano può essere assimilabile al volontariato. Ma non ci sono davvero eccezioni di alcun tipo? In realtà, non è detta l’ultima parola. Un compenso può essere ottenuto rivolgendosi al Tribunale, a cui si può dimostrare di avere svolto un servizio assimilabile al lavoro subordinato.
Gli Ermellini nel 2015 hanno ribaltato le sentenze precedenti, mettendo in evidenza come la “badante” effettuasse diversi compiti in casa. Non solo seguiva l’anziano parente, ma riusciva anche a occuparsi delle faccende domestiche, sulla base delle direttive avute. Anzi, questo era avvenuto su promessa di ricevere un compenso, cosa che nei fatti non era però mai avvenuto.
In condizioni simili ottenere uno stipendio, tenendo presenti le indicazioni previste a livello contrattuale, può essere quindi più che corretto.
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